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  ALTRI DETTI DEI MARINAI:

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In passato si credeva che la Bora preannunciasse lo scoppio di una guerra. A Trieste si credeva che, quando veniva impiccato un criminale o quando un suicida si impiccava nel Bosco dei Pini o presso una fonte nel Boschetto (nel cosiddetto Boschetto dei Suicidi), la Bora avrebbe soffiato per tre giorni. Oppure si dice che, quando la Bora imperversa con violenza, qualcuno si è tolto la vita o ha venduto l'anima al diavolo.

Su molte alture del Carso la gente mostra le "caverne della Bora". È nota una presso Trieste ed un'altra sopra Segna nel Quarnaro, dalla quale la strega si scatena con i suoi "refoli". Nel Goriziano si diceva avesse un rifugio in un burrone a Gargaro, fra il monte San Gabriele ed il Monte Santo.

Secondo un'antica leggenda, i Veneziani abbatterono i grandi querceti nelle zone carsiche della costa adriatica per ricavarne il legname per la costruzione della loro flotta. Per questo motivo la maledizione degli schiavi incatenati ai banchi delle galere ricadde sulla patria del legno delle navi, dove i boschi morirono: da quel tempo sul Carso imperversa la Bora.

È comunque fatto storico che quei boschi erano già stati abbattuti molto prima che i Veneziani vi si stabilissero.

VIA DELLA BORA:

A Trieste c'è la Via della Bora. I cronisti antichi spiegano il nome col fatto che, tra le strade della città, era la più esposta alle raffiche del vento. Si trova in salita, addossata all'alta abside della Chiesa di S. Maria Maggiore, tra Via della Cattedrale e Via del Collegio. In realtà la bora vi si incanala e la sua forza tra i muri stretti si fa ancora più sensibile. Però nella città, che si è allargata molto fuori dell'antico colle di S. Giusto, i punti esposti al vento sono più numerosi e aumentano con l'aprirsi di nuovi sbocchi stradali, in cui non si tiene più conto della direzione del vento, per cui si trovano ampie vie in piena battuta.

Invece Città Vecchia ha i suoi ripari, perché le strette vie si allineano tra le alte case che offrono una difesa dalla bora. Così, preferendo queste strade nelle giornate di maggior vento, i triestini solevano dire «per le fodre», perché, come le fodere dei vestiti, queste vie servivano da protezione contro la bora. Sono poche ormai, però, le vie superstiti con questa caratteristica.

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La Bora, in verità, era una ninfa che abitava i boschi del Carso. Soffiava durante l'estate per portare refrigerio agli uomini che lavoravano questa dura terra. Un giorno, però, giunsero da lontano degli uomini cattivi che impiantarono di prepotenza le loro dimore sul suolo carsico. Fatalità volle che proprio uno di questi burberi coloni uccise l'amato di Bora, e la ninfa , per vendetta , si mise a soffiare gelida e con violenza. E' così che divenne nemica degli uomini e da allora ogni inverno fa sentire la sua fredda rabbia.

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In un tempo che non si riesce a ricordare, Vento scorrazzava per il mondo con i propri figli. Tra di essi c'era anche la giovane Bora. Un giorno l'allegra combriccola capitò in un verdeggiante altipiano che scendeva ripido sul mare. Vento si distrasse un momento e subito Bora si allontanò dal gruppo, per correre a divertirsi scombussolando tutte le povere nuvole che abitavano quel pezzo di cielo. Affaticata dalla corsa scalmanata, entrò in una grotta, dove aveva trovato rifugio da tutto quel trambusto il mitico eroe Tergesteo.

Tergesteo era forte, bello e molto diverso dai suoi fratelli Venti, dal Mare, dalla Terra e da tutto quello che fino a quel momento Bora aveva visto e conosciuto, tant'é che se ne innamorò perdutamente. L'Amore prese in mano le redini del gioco e i due vissero felici in quella grotta sette splendidi giorni di passione.

Quando il Vento si accorse della scomparsa di Bora (ce ne volle del tempo perchéi figli erano tanti e tutti molto irrequieti) si precipitò a cercarla. Cerca che ti cerca, chiese informazioni a tutti, al Mare, alla Terra e al Cielo, finché un cirronembo particolarmente brontolone, al quale Bora aveva fatto fin troppi dispetti, rivelò il nascondiglio di Bora. Il Vento scovò i due innamorati e la sua rabbia fu tale da uccidere il povero Tergesteo.

Vento intimò a Bora di riprendere il cammino con il resto del gruppo, ma l'infelice amante si rifiutò categoricamente. Dal suo volto scorrevano lacrime che si materializzavano in roccia e il suo dolore era tanto che ormai l'altipiano ne era ricoperto.

Intervenne Madre Natura che convinse Vento a lasciare in pace Bora. Ma la poveretta non cessava il suo pianto. Allora la Terra, preoccupato per l'eccessiva presenza di tutte quelle pietre che incominciavano a rovinare il paesaggio, concesse a Bora di regnare sul luogo della sua disperazione. E il Cielo, per non essere da meno, con la complicità del sole e delle nubi le concesse di rivivere ogni anno i suoi sette splendidi giorni d'amore. Allora, e solo allora, Bora smise il suo pianto.

Le storie dei grandi amori finiti male commuovono sempre: la Terra decise che dal sangue di Tergesteo nascesse il sommacco, che da quella volta colora di rosso l'autunno carsico; il Mare diede ordine alle Onde di lambire il corpo del povero innamorato coprendolo di conchiglie, di stelle marine e di alghe verdi: Tergesteo si elevò alto verso il cielo diventando più alto di tutte le altre colline. I primi uomini che si insediarono sulla sua collina, vi costruirono un Castelliere con le lacrime di Bora divenute pietre.

Ecco come Bora si consolò; e aspettando ogni anno i fatidici giorni d'amore con il suo Tergesteo, divenne la Signora di Trieste.

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